In Primo Piano

Aiutare è essere vuoti

Inviato da:

Ultimamente mi sono capitate situazioni che mi hanno fatto riflettere molto profondamente su cosa significhi veramente aiutare. Osservando l’origine etimologica del termine aiutare (dal latino: adiutus, composto di ad e iuvare: giovare) è interessante notare come la parola in sé non contenga il momento di difficoltà, ma solo il giovamento, dato o ricevuto.

Molto spesso l’aiuto che vogliamo dare, mossi dalle più nobili intenzioni, proviene dall’arroganza di credere che l’altro sia in difficoltà e che abbia bisogno di noi; spesso proviene da un camuffato (ma neanche tanto) senso di superiorità rispetto all’altro, relegato al ruolo del bisognoso di aiuto, etichettato e cristallizzato dunque in quell’identità, mentre noi, elargitori di aiuto e salvezza, dal pulpito del nostro status straripante di Verità, sentiamo la responsabilità di correggere l’errore, recare conforto, dare soluzioni e risposte. Ahahahaha! Che illusione! Certo che aiutare può far sentire davvero tanto bravi e buoni…

Potete senz’altro ricordare quale senso di disagio e inadeguatezza avete provato almeno qualche volta quando qualcuno ha tentato di aiutarvi in quel modo…quale senso di costrizione, piccolezza, miseria e impotenza avete provato…o quale senso di invasione…forse non consci del reale motivo, forse erroneamente credendo quelle sensazioni provenire da orgoglio o presunzione…

Ebbene, l’aiuto dato non provoca mai imbarazzo, senso di disagio, o tanto peggio di inferiorità in chi lo riceve; se ciò accade il motivo va cercato nell’atteggiamento di colui che dà aiuto che, credendo di aiutare in realtà sta esercitando il proprio potere e cercando di creare sudditi sottomessi e da lui dipendenti (la dipendenza è creata dalla gratitudine!), per appagare una propria insicurezza e un proprio bisogno egoico.

Ovviamente siffatti aiuti di solito non sono neanche richiesti, arrivano all’improvviso, aggressivamente, senza che il presunto bisognoso abbia chiesto nulla.

Aiutare è un’azione silenziosa. Si svolge lontano dai riflettori, lontano dal palcoscenico e dal plauso, non ha a che fare con una volontà, ma con un ascolto e con un naturale irradiare del cuore. Anzi, non è neppure un’azione in senso proprio, è la conseguenza semplice e ingenua del dare attenzione consapevole all’altro.

Aiutare è esserci, essere presenti, essere accanto, ascoltare se e in che modo l’altro vuole essere aiutato, osservare senza interferire, rinunciare a controllare, dare spazio. Aiutare è essere vuoti (di pretese, intenzioni, giudizi, soluzioni…).

L’aiuto non abbassa mai l’altro a ‘poverino’, viceversa lo osserva come capace di trovare da sé soluzioni e manifestare abbondanza. Nell’aiuto non può esserci giudizio, aiutare è credere nell’altro. E’ vederlo oltre le sue stesse difficoltà o limiti, quelli che noi consideriamo tali, e proprio quel vederlo attiverà in lui le risorse per manifestare appieno la sua anima.

E’ diffusa l’idea che per aiutare un altro occorra essere distaccati da lui. Questo è vero ad un livello di realtà: il non coinvolgimento emotivo e la non identificazione con i problemi altrui sono un prerequisito importante per non rischiare di cadere anche noi nella sofferenza o nei guai e quindi risultare del tutto incapaci, da quel basso livello energetico, di dare alcun giovamento all’altro.

Il distacco dall’altro quindi è necessario, nel senso di neutralità, non reattività, osservazione consapevole (cioè amorevole).

Ma ad un livello più profondo di realtà è altrettanto vero che l’aiuto è perfetto e completo se emana da una coscienza di unità con l’altro, non da una coscienza di separazione.

Infatti si può aiutare sempre e solo se stessi!

L’aiuto per essere tale deve originare dunque dallo stato di coscienza superiore Io Sono, nella certezza che in realtà l’altro è sempre una parte di me, che l’altro come separato da me non esiste, e che aiutando lui in realtà sto aiutando me stesso. Questa prospettiva protegge dall’arroganza del piccolo io e dai tranelli della mente, che per natura separa e giudica.

«Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37). Queste parole eterne di Gesù, oltre ad esprimere la legge dell’Amore che Egli ha insegnato e incarnato per tutta la sua vita umana, rimandano al principio di interconnessione di tutti gli esseri e al principio di risonanza (più che alla legge del karma), principi secondo i quali ciò che io faccio o non faccio a colui che considero altro da me ritorna a me della stessa misura e qualità, perché in realtà io e lui siamo Uno, cellule dello stesso organismo.

E ancora: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo?» (Luca 6,41).

Il mio augurio a tutti noi per questo inizio di anno nuovo arriva da una profonda comprensione personale.

Che tutti possiamo essere consapevoli della Legge dell’Uno che regge la Vita.

Che ognuno possa amarsi incondizionatamente, e di conseguenza proiettare amore su tutti e tutto.

Franca Soavi

 

0
  Articoli collegati